Pavia e dintorni  -  Bibliografia essenziale di Giovanni Pallavicini

mi chiamano  la gringa   -   di Maria Elisa Calderoni e Giovanni Pallavicini

Premessa di Giovanni Pallavicini

 

Tutti i familiari, figli e nipoti, i parenti, i conoscenti e i vicini di casa la chiamano mamma. Lisa. Solo i pronipoti, due marmocchi, Sonia e Marco, qualche volta la chiamano bis, che sta per bisnonna, ma più spesso gringa.

Conobbi mamma Lisa un pomeriggio d'autunno del 2002, durante la rassegna di poesie che la Biblioteca Comunale di Travacò Siccomario, un piccolo paese alle porte di Pavia, aveva organizzato.

Mi fu presentata da un'amica, che insegna alla scuola elementare ed è sua vicina di casa. Mamma Lisa era lì quel giorno perché la giuria della rassegna aveva stabilito di premiare una sua poesia, "La mia vecchia casa".

Della manifestazione ero promotore e quel giorno presentatore: avevo l'obbligo di conoscere qualcosa degli autori. Il pubblico, accorso numeroso alla manifestazione, si sa, vuole saperne di più. In verità di mamma Lisa conoscevo ben poco; così, chiamato, all'improvviso, a presentarla, ricorsi all'espediente dell'intervista.

Quando la giuria menzionò il suo nome e il titolo dell'opera prescelta, mi avvicinai a lei e, aiutandola ad alzarsi, l'accompagnai a un piccolo palco, su cui la aspettava un microfono.

Alcune cose mi colpirono subito di mamma Lisa: un volto disteso con un lieve sorriso, nessun gesto impacciato che denunciasse il benché minimo imbarazzo. Mi teneva però stretta la mano destra, come a dire "resti qui, non se ne vada, non voglio restare sola". Una breve pausa, la vidi respirare profondamente, poi con voce chiara, e pacata si presentò al pubblico e, rispondendo alle domande, spiegò la ragione che l'aveva spinta a scrivere quella poesia, e precisò, tra lo stupore di tutti, che l'aveva composta quando aveva "soltanto ottant'anni".

Pensando di aver capito male, la pregai di ripetermi il numero degli anni: lo fece con un candore accompagnato, forse, anche da un pizzico di compiacimento. Dalla sala si levò un brusio di voci, cui seguì un attimo dopo il caloroso battimano del pubblico.

Tornato un silenzio attento e partecipe, mamma Lisa attaccò l'interpretazione.

Impeccabile, iniziò a declamare: con grande stupore capimmo che non leggeva un testo scritto, ma tutto, una quarantina di righe circa, era recitato a memoria. È così che conobbi mamma Lisa: mi ricaricò le pile, mi rece considerare un futuro ancora pieno di emozioni, impegni, ricco di progetti. Passò circa un anno.

Ogni tanto il pensiero di quella signora affiorava alla memoria, ma non era accompagnato dal coraggio di contattarla: significava continuare a fondo quella specie d intervista, e non ero poi così sicuro che mamma Lisa fosse d'accordo a confidare altre notizie della vita passata.

Incontrando per caso, mentre usciva dalla Biblioteca, la mia amica insegnante, venni invece a sapere che mamma Lisa avrebbe gradito rivedermi per fare quattro chiacchiere.

Questo avvenne un pomeriggio di maggio e precisamente il venerdì 23 dell'anno 2003.

Ero seduto di fronte a mamma Lisa, in una veranda cui si accede passando dalla cucina. Tutto intorno era una gran pace. Il cinguettio dei passeri e il fischio di un merlo ogni tanto tenevano compagnia ai nostri discorsi. Un unico rumore ci distoglieva dall'atmosfera magica in cui tutti e due eravamo calati: i rintocchi delle campane di una chiesa lì accanto, che battevano le ore, ci riportavano alla realtà.

A sessantenni s'incomincia a parlare di morte, poi man mano che il tempo passa si finisce per parlare, con convincimento, del futuro. Non è un caso però che quando ci si riferisce in prospettiva al domani, tutti poniano come punto di partenza il passato: per imprimere più forza al volere futuro usiamo il ricordo come cartina di tornasole, pietra di paragone.

Queste sono le bizzarrie della vita. E quel giorno, in quella linda veranda, seduto di fronte a Mamma Lisa, ho sentito davvero per la prima volta il coraggio di invitarla a parlare del passato. Raccontai poi tutto a Elisa: a noi non è rimasto che far correre su queste pagine la storia della nostra gringa.

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