CURIOSITÀ DI PAVIA E DINTORNI

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PAVIA - IL MONASTERO DI SANTA CLARA

di Alberto Arecchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         Oggi - Il Monastero di S. Clara                                         1654 - Il Monastero nella pianta del Ballada

Alla periferia sud-orientale della città storica di Pavia, nel triangolo compreso tra viale Gorizia, che segue il tracciato della cinta muraria dei secoli XII-XVI, via Langosco (in direzione Ovest-Est) e via Calchi (in direzione Nord-Sud), si trova il complesso edilizio oggi generalmente conosciuto come ex caserma Calchi.

Nel periodo altomedievale questa zona era all'esterno delle cinte murarie ed era occupata da orti, ben irrigati per l'abbondanza di acque superficiali. Vi è documentata, almeno dal 1244, la presenza di un monastero femminile cistercense consacrato alla Madonna delle Grazie (S.ta Maria inter hortos, o de intus o de medio), chiamato anche "di San Bernardo" dal nome del Fondatore dell'Ordine. Non è ancora stata identificata con certezza la data di fondazione di questo primo Monastero, né la sua consistenza primitiva: solo ne rimangono riconoscibili alcune parti, incorporate nella parte meridionale del chiostro edificato negli ultimi decenni del sec. XV.

Il Monastero ricevette favori e privilegi dai Visconti, in particolare da Gian Galeazzo (1387). Il tracciato dell'attuale via Langosco rappresentava la via d'uscita verso la porta orientale della città e si prolungava nella strada diretta a Cremona (la via Romea, percorsa dai pellegrini), prima della ricostruzione della cinta muraria, compiuta nei primi decenni del sec. XVI. Le Francescane Osservanti, nel 1474, erano stabilite nella domus di Sant'Elisabetta, nel quartiere nord-occidentale della città.

Poiché la comunità francescana era in rapida crescita, mentre il numero delle Cistercensi andava riducendosi e il loro comportamento non destava la simpatia della gente, il Vescovo acconsentì ad uno scambio di sedi fra le due comunità. Il nuovo Monastero venne ad essere generalmente conosciuto anche sotto gli appellativi di Sant'Elisabetta e di Santa Clara, conservando tuttavia l'originaria consacrazione e il titolo di Santa Maria delle Grazie in mezzo agli Orti. Aiutò la ricostruzione un cospicuo legato, lasciato nel 1469 da Francesco Morbio. Altri privilegi e aiuti vennero dalla duchessa Bona di Savoja.

LA COSTRUZIONE DEL MONASTERO

I lavori di ampliamento del Monastero si protrassero su un arco di alcuni decenni: tre corpi di costruzione vennero a cingere verso ovest, nord e sud un ampio chiostro, delle dimensioni approssimative di m 30 x 40, il cui quarto lato, verso sud, era fiancheggiato dalla Chiesa e da un altro corpo edilizio preesistenti. La pianta del complesso è quella di un trapezio irregolare e la struttura interna dei nuovi corpi di fabbrica denota che essi furono costruiti in momenti successivi, sulla base di una visione d'insieme ma non di un vero e proprio progetto unitario.

 

Per ultimi, furono costruiti i quattro lati porticati del chiostro (quello del lato sud, adiacente alle costruzioni più antiche, risulta leggermente più ampio): 11 arcate a sud e a nord, 8 ad ovest, 9 verso est. Al di sopra, un giro di un'ottantina di piccole celle, poco più grandi di m. 2 x 2, con minuscole finestre ad arco ribassato. I lavori si svolsero fra il 1476 e il 1493.

 

La prima data era indicata nell’iscrizione sulla porta della chiesa pubblica, che oggi si trova presso i Civici Musei. Il Monastero fu ricostruito a partire dall' 11.2.1482, quando Papa Sisto IV concesse alle Clarisse "di poter vendere le case ed orti, ed altri edifizi, del primo monastero detto di San Bernardo, con l'obbligo di convertirne li prezzi nella riparazione e fabbrica del loro monastero".

LA DISPOSIZIONE DEL MONASTERO

Il Monastero si trovava in una posizione felice, ricca d'acqua e favorevole sia per le attività agricole che per la tranquillità offerta: presso il corso di Porta San Giovanni, via frequentata dai pellegrini che serviva al transito in direzione di Cremona, Piacenza e Roma, ma in posizione leggermente arretrata.

Arretrata era pure la facciata occidentale rispetto al percorso tra gli orti, sul tracciato del quale si trova l'attuale via Calchi. Da ovest si accedeva all'area di proprietà monastica entrando per l'alto muro di cinta, del quale rimane quasi intatta un'ampia porzione. Il Monastero fu dotato di una chiesa esterna, aperta al pubblico, lungo la strada oggi denominata via Langosco; la costruzione di questa chiesa fu terminata nel 1476, secondo l'iscrizione posta sull'ingresso.

 

Si trattò del primo intervento edilizio compiuto dalle Clarisse.

La chiesa, orientata da sud verso nord, sporgeva dal Monastero sino al muro di cinta e il presbiterio era raccordato con la preesistente chiesa cistercense, già orientata verso est.

Fu così ottenuta una disposizione ad L, con due corpi perpendicolari.

Fra la chiesa di clausura e il presbiterio dell'altra vi era una grata, sopra l'altare, che permetteva alle Monache di vedere l'ostia, al momento dell'elevazione, durante le funzioni per gli esterni.

Nel lato orientale si trovava il refettorio, lungo m 37.

Ai lati, verso sud una piccola zona di disimpegno e di transizione verso il coro e verso nord gli ambienti destinati alle attività di preparazione e di cottura dei cibi.

L'ala occidentale appare nei disegni del sec. XVIII con due ambienti contigui, dotati di ampi camini.

Si trattava del calidarium o scaldatoio.

L'adiacente corpo di scale mantiene ancora tutte le caratteristiche della costruzione antica ed è connesso all'antico accesso di nord-ovest e con una porta collegante direttamente l'esterno con la rampa delle cantine.

GLI AFFRESCHI E I PARTICOLARI DECORATIVI

Si sono salvati diversi gruppi di affreschi, facenti parte della costruzione originaria del Monastero francescano e databili a un periodo compreso tra gli ultimi anni del sec. XV e i primi del successivo.

a) Lunetta del portale d'ingresso alla chiesa, con la relativa architrave.

Nella lunetta del portale d'ingresso della chiesa esterna, aperta al pubblico, era raffigurata la Vergine della Misericordia, secondo un'iconografia sviluppatasi a partire dal sec. XIII e piuttosto diffusa presso gli Ordini Mendicanti. La Vergine protegge un gruppo di oranti sotto il manto, retto con le braccia allargate e le mani rivolte verso il basso. L'affresco è databile all'ultimo quarto del sec. XV, anche sulla base della sottostante architrave, ed è oggi conservato insieme a questa presso i Civici Musei di Pavia. L'architrave reca in caratteri gotici l'iscrizione:

Sancta Maria Gratiarum

O tu chi passi per questa via, mira e contempla questa figura mia.

Giamata son Maria de Dio madre, piena de ogni consolatione e suavitate.

Parigiata son a chaduno gratia fare, chi devotamente a me se vole retornare.

De l,ano MCCCCLXXVI per amore de Dio, fabricata fo questa giesia a honore mio

 
b) Complesso pittorico del "Coro della Clausura"

 

 

Negli interni, la zona più ricca di affreschi è l’ex coro della chiesa cistercense, incluso come terminazione orientale della cappella di clausura.

Esso è stato in seguito suddiviso tra vari ambienti, tramezzato e soppalcato.

Diversi sono i frammenti visibili della decorazione pittorica: possiamo riconoscere San Michele che pesa le anime dei defunti (nell’ex bagno del custode), San Cristoforo che attraversa le acque (sopra la porta di accesso dal cortiletto sud), un Compianto del Cristo morto, diverse fasce di decorazione architettonica e floreale.

Possiamo presumere che, al di sotto dello scialbo che ancora copre la maggior parte delle pareti e l'intera volta ad otto vele, altri lacerti di pittura si nascondano e si siano salvati, nonostante le rovine causate dalla costruzione dei tramezzi e della soppalcatura.

 

 

 

 

c) La Crocifissione del Dormitorio.

Questo affresco, raffigurante la Crocifissione, era stato individuato da pochi anni, al primo piano, nella testata nord dell'ala orientale, in fondo all'antica corsia del dormitorio delle monache, sul muro al di là del quale si sviluppa la cupola della cucina.

L'affresco doveva  ancora essere liberato dallo scialbo che lo ricopriva ma chiaramente era identificabile dai brandelli apparsi, dall'impronta di tre aureole in rilievo e della cornice che lo inquadrava.

Il recupero e il restauro è stato effettuato, unitamente a sondaggi di ricerca di eventuali altre testimonianze pittoriche.

 

 

 

LA STORIA SUCCESSIVA ALL’ALIENAZIONE

Espropriato nel 1782 dal Governo austriaco in seguito al Decreto dell'Imperatore Giuseppe II che sopprimeva tutti gli Ordini monastici senza funzioni educative, il complesso del Monastero fu riadattato dall'architetto Leopoldo Pollach per ospitare il Collegio Calchi, del quale si ordinava il trasferimento da Milano a Pavia.

Il Collegio era un'antica istituzione milanese, fondata nel 1516. Nell'istruzione per il Collegio Calchi traslocato da Milano in Pavia sotto la direzione dei Padri delle Scuole Pie si aggiunge che a Pavia:

" gli alunni potranno meglio approfittare del benefizio della pubblica istruzione, nelle Regie Scuole e nella fiorente Università".

 

 

L'architetto austriaco Leopoldo Pollach (1751-1806) fu incaricato dei lavori di adattamento dell'ex Monastero alle esigenze del Collegio.

Di quegli anni è conservato un disegno, presso l'Archivio di Stato di Milano, che raffigura la situazione immediatamente successiva alla alienazione.

Il Pollach compì una generale sopraelevazione delle facciate del chiostro, corrispondenti alle antiche celle, e sostituì alle finestrelle preesistenti una serie di più ampie aperture rettangolari, poste in asse con le arcate sottostanti.

Tale modifica occluse le finestre retrostanti che, al di sopra dei tetti delle celle, davano luce ai corpi di fabbrica più alti (e in particolare al secondo piano, praticabile solamente sopra l'ala occidentale).

 

 

 

 

Il trasferimento del Collegio Calchi aveva offeso il sentimento di numerose famiglie della nobiltà e della ricca borghesia milanese, legate alla tradizione della antica istituzione.

Sollecitato da queste, il Governatore dello Stato di Milano ottenne un decreto dell'Imperatore Leopoldo II che, nel 1791, riportò a Milano il Collegio Calchi e lo unificò con il soppresso Collegio Taeggi.

All’ex Monastero francescano pavese rimase, di questa parentesi, il nome, conservato anche dopo il suo adattamento a caserma.

 

 

Esso divenne infatti uno stabilimento militare dal 1798 al 1935; a tutt'oggi, l'immobile conserva la denominazione di “Caserma Calchi”.

Nel 1886 furono modificate le finestre esterne dell'ala settentrionale (verso l'attuale via Faruffini) e la facciata della chiesa che si affaccia all'esterno, sull'attuale via Langosco. La porta d'ingresso fu ampliata e venne affiancata da due nuove finestre. La lunetta affrescata e l'architrave originali furono donate al Comune dall'Autorità militare e depositate presso i Civici Musei.

Il 21 gennaio 1935 l’immobile divenne proprietà del Comune di Pavia; il podestà espresse allora alla Soprintendenza l'intenzione di demolirlo perché “inabitabile, assai vecchio e privo di qualsiasi pregio architettonico e storico”. Fortunatamente la Soprintendenza riuscì ad impedire lo scempio. Senza grandi modifiche strutturali, ma in un crescendo di obsolescenza e degradazione, l’ex Monastero fu trasformato in officina per la manutenzione e la riparazione dei mezzi del servizio di nettezza urbana.
Al primo piano furono alloggiati dipendenti comunali, poi sostituiti da famiglie senzatetto.

Furono realizzati appartamenti, secondo una tipologia più o meno standardizzata, occupando via via gli spazi precedentemente utilizzati come camerate della caserma.

Negli anni ‘70 gli alloggi furono a varie riprese occupati da famiglie e persone sfrattate da altri immobili.

Dopo il violento temporale che colpì la città di Pavia il 29 agosto 1988 vennero abbattuti i pinnacoli della facciata della chiesa esterna, per timore che potessero cadere e danneggiare i tetti adiacenti o i passanti.
Nell’estate del 1990 il primo piano, ormai in abbandono, venne occupato dai giovani di un Centro Sociale Autogestito.

Ciò non ha comportato danni alle strutture, ma ha ridotto i locali occupati in un'indescrivibile condizione di fatiscenza, che si è prolungata sino ai restauri, attualmente in corso.