STORIE E LEGGENDE in Pavia e dintorni

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L'INFERRIATA DI BOBBIO

L’opera è custodita nella cripta dell’abbazia di San Colombano

Nella cripta dell’abbazia di San Colombano a Bobbio esiste una cancellata (probabilmente del IX secolo), opera pregevole non solo per le dimensioni e la ricchezza decorativa del ferro battuto, ma anche per la qualità della fattura e lo stato di conservazione.

Tanto raffinata la sua fattura che neppure pareva potesse essere opera di mano umana. Tanto fine la sua lavorazione da ispirare una delle numerose leggende che circondano la vita del santo patrono d’Irlanda. San Colombano era nato in Irlanda e dopo aver intrapreso la vita monastica era partito per il continente alla testa di dodici missionari.

Ardente polemista, nel 610, in seguito ad una lite con un abate, fu espulso per essere rimpatriato in Irlanda.

Riuscì però a eludere il controllo dei suoi accompagnatori, attraverso mezza Europa, giunse alla corte longobarda, con l’intento di spingersi sino a Roma.

Il re longobardo Agilulfo e la consorte Teodolinda gli proposero di fondare un nuovo monastero e, con atto di donazione del luglio 614, gli donarono i resti dell’antica chiesa di San Pietro a Bobbio, con annesso un ampio dominio di terre.

In autunno dello stesso anno San Colombano si trasferì a Bobbio, redasse una severa regola monastica, restaurò la chiesetta di San Pietro e costruì le prime celle per sé e i suoi discepoli.

San Colombano dedicò a tale missione gli ultimi due anni della sua vita, affrontando sino all’ultimo grandi fatiche e rischi, che i miti e le tradizioni raccontano ancora in chiave fantastica, come nel caso delle leggende ambientate nei Sassi Neri.

Morì a Bobbio all’età di settantatre anni, pochi mesi prima del re Agilulfo e prese così avvio la storia d’uno dei più importanti centri religiosi e culturali dell’Italia medievale.

San Colombano

 

Il monastero di Bobbio divenne un centro importante di diffusione culturale, dal quale i monaci, oltre a svolgere opera di evangelizzazione cristiana, aprirono la via a scienze ed arti, tra cui la pittura, la musica e l'architettura erano le più importanti.

 

Tornando all’inferriata, la leggenda vuole che fosse stato il diavolo stesso, per attirare l’attenzione di Colombano, a realizzare la bellissima inferriata. Molti fabbri avevano cercato d’imitarla, ma il segreto della fattura dei nodi, che formavano l’originalità e la finezza del lavoro, sfuggiva a tutti, e il diavolo se la godeva. Si racconta che qualche tempo dopo, l’abate avesse realizzato un mulino bellissimo, bianco, trasparente, che sembrava di ghiaccio.

La leggenda racconta che al diavolo, che si era unito ai curiosi che andavano a vederlo, fosse piaciuto moltissimo e il demonio disse al santo: “Se me la chiedi, ti do in cambio la mia inferriata che nessun fabbro riuscirà mai ad imitare”.

 

 

Colombano, che la desiderava da tempo, annuì ed il contratto fu concluso. In quel momento si alzò un vento caldo ed il mulino, che era proprio di ghiaccio, crollò e si sciolse.

Il diavolo, sdegnato, disse ghignando al monaco: “Ti lascerò ugualmente la mia inferriata, se sarai capace di trasportarla col solo aiuto del tuo asino”.

Quel capolavoro era pesante e tutto d’un pezzo, ma il santo lo piegò miracolosamente in quattro parti e, senza fatica, lo caricò sulla groppa del somaro.

Il demonio allora, rabbioso per l’inganno, inseguì Colombano e, per poter correre, gettò sul luogo del miracolo dei grossi sassi neri, che aveva portato per scagliarli contro Colombano, sperando di raggiungerlo e di strappargli con la forza la sua inferriata.

Il diavolo non venne a capo di nulla, poiché la leggendaria inferriata era già stata nascosta nel sotterraneo del convento, ove, molto ammirata, si trova tutt’ora.

Si vuole che, per circa un secolo, essa servisse di custodia alle preziose spoglie di san Colombano.

San Colombano, come tutti i monaci e gli eremiti, ebbe diversi scontri col demonio. Vogliono le leggende che tracce di queste battaglie si trovino in una località, tra Bobbio e il passo del Penice, dove, a piedi, si può intraprendere l’affascinante risalita della grandiosa frana dei dirupi serpentinosi, chiamata appunto “Sassi Neri”.

Si racconta anche che, quando il santo andava a meditare sul monte Penice, il demonio lo seguisse. Colombano avrebbe preso una manciata di riso dal grembiule di una donna incontrata per caso e l’avrebbe lanciata contro il suo persecutore.

I granelli di riso, anziché colpirlo, si sarebbero trasformati in sassi neri formando grotte spaventose ed una gigantesca frana. Questi massi neri esistono ancora e si chiamano “sassi del diavolo”.

Secondo la tradizione quelle rocce conservano le tracce carbonizzate degli strali demoniaci e forse, guardando bene, vi si potrà distinguere il diavolo stesso, rimasto infine pietrificato per le preghiere del santo.

I sassi del diavolo

 

 

di Alberto Arecchi