CURIOSITÀ DI PAVIA E DINTORNI  

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di Mario Veronesi

La flotta

dei

Visconti

 

Navi da sbarco, pattugliatori e altro ancora

nelle flotte fluviali che si contesero il Ticino e il Po

L’importanza acquistata da Pavia nella navigazione fluviale dipendeva non solo dalla sua posizione, che la metteva in diretta comunicazione col Lago Maggiore e con l’Adriatico, ma anche dal suo stato di centro politico e sede amministrativa del Regno Italico.

A Pavia si tenevano le assemblee o “concilii”, qui convenivano vescovi, abati e grandi laici per trattare con la corte; di qui passavano stranieri e pellegrini diretti a Roma, che sostavano volentieri nella città per visitarne le rinomate basiliche e venerare le reliquie ivi custodite.

Si aggiunga che in quel tempo, essendo i vescovi e gli abati i più grandi proprietari di terre, per smerciare i loro prodotti li tenevano in deposito in città dove li vendevano sul mercato o, per mezzo di barche, li trasportavano sugli altri mercati esistenti lungo le vie del Ticino e del Po.

Il Ticino, popolato di porti, era la via naturale di quel movimento commerciale che formava la ricchezza della città e sostentava una numerosa popolazione, tanto che un cronista del X secolo la paragonò, per l’opulenza dei traffici, a Tiro e a Sidone.

A datare dall’XI secolo le cose cambiano; con il sorgere dei comuni si formano tanti centri quante sono le città, e fra queste Milano primeggia per il numero dei suoi abitanti e per la potenza sempre crescente della sua borghesia industriale e mercantile.

Da quel momento, una fiera lotta s’ingaggia tra Milano e le città vicine: Pavia, Como e Lodi. Sono guerre che hanno un carattere essenzialmente economico: a Milano serve il controllo delle vie commerciali e il potersi liberamente avvicinare ai grandi mercati d’esportazione, Genova e Venezia, e la navigazione fluviale entra come elemento essenziale in questo contesto.

L’assoggettamento di Pavia ai Visconti, nuovi signori di Milano, diviene quindi una necessità, e il problema è risolto nel 1359, quando Pavia cade definitivamente in potere di Galeazzo II.

 

La flotta pavese

Nel XII secolo, quando le guerre municipali divennero quasi permanenti, si combatté per terra e per acqua, e nelle città dei grandi fiumi sorsero darsene e si fabbricarono navigli da guerra.

Ferrara, Mantova, Cremona, Piacenza, Pavia si segnalarono in questo nuovo campo d’attività: Pavia più di tutte. Non sappiamo dire con precisione a che numero di navi ascendesse l’armata pavese, sappiamo però, per testimonianza di cronisti dell’epoca, che era rilevante.

Delle navi, alcune erano lunghe, acute e velocissime, e si chiamavano scancerie o ganzerre, altre, più pesanti, dette incastellate dal castello di poppa capace di contenere un buon numero d’armati.

Del loro impiego e della tattica navale non siamo bene informati, sembra però che le ganzerre fossero impiegate soprattutto nelle esplorazioni e nella corsa contro le navi nemiche, e le incastellate servissero al trasporto di vettovaglie e truppe da sbarco, che dopo aver dato il guasto alle terre del nemico, tornavano a bordo con prede e prigionieri.

I pavesi acquistarono subito una grande reputazione in quel genere di guerra.

Quando Pavia cadde in potere dei Visconti, questi ne fecero la prima stazione navale del loro Stato, e dal suo arsenale partirono le armate ducali che, lungo il XV secolo, gareggiarono a più riprese contro i veneziani, il più delle volte con prospera fortuna.

In quelle guerre si segnalarono in modo speciale alcuni pavesi della famiglia degli Eustachi, tra cui quel Pasino, ricordato più volte nei documenti col titolo di “Capitaneus ducalis navigii”, che si rese assai famoso per varie vittorie riportate sui legni di Venezia, tra cui quella del 23 giugno 1431, sul Po, presso Brescello; questa data venne poi tramandata sino a noi come la data di nascita del “Gran Pavese”.

 

Pasquier Le Moin, ambasciatore di Francesco I arrivato a Pavia nel 1515 dopo la battaglia di Melegnano, vide e descrisse in un suo diario le navi venete collocate a trofeo sotto l’ampia tettoia dell’arsenale.

Anche dopo, e fino al secolo XVII, si ha notizia di scontri militari combattuti sul Po; ma la funzione militare dei nostri fiumi si può dire cessata nella seconda metà del quattrocento, quando i progressi dell’arte militare, insieme alla cresciuta potenza delle artiglierie, tolsero ai navigli fluviali, ogni importanza come arnesi di guerra.

Conosciamo l’esistenza di una corporazione che raggruppava gli addetti alla navigazione fluviale sul Ticino e Po, e gli utenti delle acque del fiume in genere: barcaioli, pescatori, addetti ai porti, molinari ecc..

Si trattava di un’associazione con un suo statuto, suoi consoli e un’organizzazione interna autonoma che traeva potenza dal commercio fluviale e dal noleggio delle imbarcazioni che trasportavano le merci dei ricchi mercanti delle città rivierasche.

Questi possedevano una vera e propria flotta fluviale composta di navi da carico, zatteroni, navi adatte a qualsiasi tipo di commercio, dai cereali al vino, dai materiali da costruzione al sale.

Oltre ai “paroni”, proprietari, armatori e comandanti delle navi, appartenevano alla corporazione anche i navaioli o barcaioli, addetti alla navigazione, ai remi, alle vele, ai servizi di carico e scarico, e ai servizi d’interesse pubblico in caso di calamità naturali, come inondazioni, naufragi, annegamenti, rottura e rifacimento dei ponti.

Numerosi erano allora i tipi d’imbarcazione da guerra oltre quelli già prima citati: brigantini, barbotte, galeotte.

Le ganzerre erano molto veloci, lunghe e rostrate, e superavano le barbotte, di maggiore capacità. Altre navi erano redeguardi, redeguardi grandi, galeoni, galeoncelli, navi con ponti piatte, calandre, barchette, navette, burchi, burchielli, mattatali e rascone.

Connestabili, paroni, operarii e navaioli

L’equipaggio di un galeone si componeva di circa 80 uomini. Un connestabile (nel medioevo, ufficiale della corona con incarichi militari; capo delle milizie cittadine dei comuni e delle repubbliche marinare), due nocchieri (detti paroni), un maestro di navi (che era a capo degli operarii, addetti alla riparazione dei guasti, sia accidentali, sia dovuti a scontri con i nemici).

I navaioli poi, che spingevano il galeone a forza di remi, erano tra i 48 e i 52. Oltre a questi uomini, a bordo si trovavano balestrieri, arcieri e, con l’avvento della polvere da sparo, anche un bombardiere addetto alla bombarda e alle relative munizioni.

Dopo il galeone, in ordine di grandezza, veniva il galeoncello o galeazza, imitazione della galea da traffico, comandato da un connestabile, con un equipaggio di due nocchieri, un bombardiere, 24 navaioli e quattro balestrieri.

Seguiva per importanza il redeguardo grande, che imbarcava un connestabile, due nocchieri e 18 navaioli. La ganzerra aveva bordi alti con cassero e castello, tre alberi e vele latine e bompresso, ponte di coperta e trentadue banchi di remi a scaloccio; era una nave sottile, leggera, velocissima, il suo equipaggio era composto di un connestabile, due nocchieri e quattordici navaioli; questo tipo d’imbarcazione, usata come nave da battaglia anche sul lago di Como, fu sostituita negli anni dal redeguardo medio, lungo e sottile, leggero ma adatto ad assalire, molto usato per il controllo delle rive dei fiumi, o alla guardia ai ponti; nella moderna tipologia di navi sarebbe assimilabile ad un pattugliatore costiero; il suo equipaggio era costituito da un connestabile, da otto a dodici navaioli, e alcuni uomini d’arme.

La nave grande, comandata da un nocchiere, con un equipaggio d’otto uomini, era la nave rifornitrice della flotta e dell’esercito, mentre la nave col ponte, comandata anch’essa da un nocchiere, serviva a gettare i ponti sui fiumi per far transitare l’esercito da una riva all’altra; imbarcati su questo tipo di nave, si trovavano un certo numero di magistri a lignamine, paragonabili agli odierni pontieri.

Le navi incastellate, si usavano per il trasporto di vettovaglie e di truppe da sbarco.

I piatti erano navi larghe e piatte, che servivano per traghettare velocemente uomini, cavalli e macchine da guerra.

 

Il burchio o burchiello, era una navicella piccola, leggera e veloce; condotta da un nocchiere, era usata come staffetta, e continuò per secoli il suo lavoro sul grande fiume.

Ricordata anche da Dante nella Commedia:

“Come talvolta stanno a riva i burchi,

che parte sono in acqua e parte in terra”

 (inferno canto XVII vv. 21-22).

Il Pisanello, lo raffigura in un affresco nella chiesa di S. Anastasia a Verona (1340), e Jacopo de Barbari, nella grande xilografia con la veduta di Venezia, datata1500 circa.

 

 

Un’altra imbarcazione, che continuò la sua attività per oltre cinque secoli, fu la rascona detta anche “nave di Pavia”, era un’imbarcazione leggera e maneggevole che trasportava merci e uomini.

Nel 1867, a Venezia risultavano ancora registrate 80 rascone, ma all’epoca, questo tipo d’imbarcazione era già in decadenza tanto da scomparire agli inizi del XX secolo.

Altri natanti, usati principalmente per il trasporto di merci, furono: la gabarra, molto simile al burchio ma contraddistinta dalla prua a punta fornita d’asta, era usata sul Po dal pavese al mantovano; la comacina, simile alla gabarra, originaria della zona di Comacchio; il bucintoro, da non confondersi con la nave da parata della Serenissima, e la magana, dotata di una capacità di 300-400 q, presente nell’area padana da Padova, a Pavia.

 

Barche fluviali e marine

Per le grandi barche, sartiame, manovra delle vele, ecc., erano nella maggior parte dei casi corrispondenti a quanto adottato per le imbarcazioni marine, con l’eccezione delle bigotte, sostituite in acque interne da paranchi più corti per rendere più spedito l’arridaggio.

Fondamentalmente avevano caratteristiche simili tra loro, con un’apertura al centro per il carico, fondo piatto, fianchi dritti, e due alberi con vele al terzo; la rascona presentava caratteri più arcaici, analoghi a quelli riscontrabili in età egizia e romana.

Il timone non era incardinato al centro della poppa, ma appoggiato in un’ansa del suo fianco come nelle navi dell’antichità; tale sistema dei due timoni era presente solo in questo tipo di nave, mentre in tutte le altre imbarcazioni, la sostituzione con un solo timone avvenne tra il XIII e XIV secolo.

Le dimensioni dei due timoni servivano a diminuire lo scarroccio dovuto al limitato pescaggio.

Galeazzo Visconti, nel 1374, fu il primo duca che impose con uno specifico statuto doveri e privilegi che in seguito, con poche varianti, fu sempre confermato dai suoi successori.

Finché ebbe vita la flotta ducale, le principali regole furono:

1) I navaioli iscritti regolarmente nei registri del capitano del naviglio, siano esenti da ogni onere reale, personale, o misto ordinario o straordinario, eccetto i dazi o le gabelle.

2)  I navaioli iscritti all’albo del capitano del naviglio per servire nella flotta, nella prima settimana d’ogni mese, si devono presentare all’ufficiale ed essere pronti a servire sui galeoni e dare seguito almeno uno per l’altro delle promesse fatte.

3)  Ognuno deve avere un remo ferrato.

4)  Se qualcuno non si presenti, dia la sua parola che non si allontani dalla sua residenza, per più di un giorno senza il permesso dell’ufficiale competente.

5)  Quando i navaioli devono servire nella flotta, avranno lo stipendio in ragione di quattro fiorini il mese.

6)  All’ufficiale che iscrive i navaioli, o che dà licenza ad alcuni di loro, per allontanarsi per qualche tempo dalla propria residenza, non è dovuto alcun compenso, e l’ufficiale dovrà dare la licenza richiesta, purché l’opera di colui che la richiede, non sia necessaria per il principe.

Potremo definire i navaioli una milizia territoriale reclutata in città e nei paesi rivieraschi, che in tempo di pace si dedicava alla pesca, al commercio, oppure alla guardia del Po e del Ticino, mentre in tempo di guerra, saliva sui galeoni e sulle altre navi armate del ducato.

Le loro sedi principali erano a Pavia, Piacenza, Lodi e Cremona, dove si raccoglievano quelli provenienti dai centri minori.

 

 

 

Nel 1417, a Pavia ve ne erano iscritti 150, a Piacenza, verso il 1430, 76, a Cremona e Lodi una settantina, ben poca cosa per armare i 60 galeoni e tutto il naviglio minore, considerando che per ogni galeone occorrevano circa 50 navaioli; quindi si suppone che di questa categoria il capitano dei navigli si servisse in tempo di pace per la guardia dei fiumi, e in tempo di guerra per l’impiego come nocchieri sui galeoni, o da guida al naviglio minore, mentre alle città rivierasche era richiesto un numero d’uomini da inviare sulle navi in funzione d’addetti ai remi.

 

 

 

La darsena di Pavia, era il luogo di riunione dei nocchieri e connestabili, dove si trovava la maggior parte dei galeoni e del naviglio minore.