pronipote di un garibaldino 

AGOSTINO FARAVELLI

Pavia ed i pavesi come ragione di vita poetica

 

Con il prossimo anno cominceranno le celebrazioni del 150° anno della nascita dello Stato Italiano  e la nostra Pavia, fucina di tanti valorosi garibaldini, non starà certamente a guardare.

Questa “vetrinetta” è dedicata ad Agostino Faravelli, guarda caso, pronipote di Agostino Omboni (1842-1906) che a 18 anni era uno dei Mille a Marsala, nel 1866 nei Cacciatori delle Alpi, nel 1867 a Mentana e nel 1870 partecipò alla battaglia di Digione con la Brigata Ricciotti. Al nostro Faravelli, delizioso poeta dialettale e scrittore di pavesità, quando nacque, per ricordare ed onorare l’ardimentoso bisnonno, imposero il nome di Agostino.

Agostino è un distinto ma gioviale personaggio che sprigiona pavesità da tutti i pori e si onora di aver da sempre parlato e pensato nella sua prima lingua: al dialèt ad Pavìa; l’italiano che parla o che scrive è una semplice traduzione!

 «Come hai cominciato ad appasionarti di poesie e racconti sulla Pavia di ieri e di oggi?».

«Mio padre, quand’ero dodicenne, voleva che imparassi a suonare il violino e, trovatone uno d’occasione mi iscrisse alla Scuola Municipale di Musica (ora Istituto Franco Vittadini). Come si sa quando un ragazzo inizia con i primi esercizi dal violino non esce musica  ma versi  orrendi e sgraziati che fanno accapponare la pelle ed immpossibili da sopportare. Abitavo in un’antesignana casetta a schiera ed avevo “Bìgiu”, il vicino di sinistra, che era in là con gli anni e per sua fortuna alquanto sordo. Quando suonavo il mio violino correva sempre ad oliare il cancello! Alla destra abitava una pia e gentile maestra elementare che aveva soprattutto tanta pazienza, non ha mai fatto storie e non si è mai lamentata. Finalmente mio padre ha capito che la musica non era fatta per me, mi ha consentito di smettere ed ha messo un vistoso cartello sulla porta d’ingresso con la scritta : “vendesi violino”. La soave maestra ne ha aggiunto un altro: “sia ringraziato il cielo”!».

Da quel momento Agostino Faravelli, pensando e scrivendo in dialetto, ha cominciato ad interessarsi di poesia e testi per il teatro dilettantistico pavese formando anche una compagnia che ha portato spettacoli di varietà in diversi teatri della Lombardia.

Raggiunta la meritata pensione, ha cominciato a dare sfogo e spessore alla sua passione. Ha partecipato a parecchi concorsi nazionali di poesia ed ha avuto diverse soddisfazioni vincendone alcuni tra i quali, quest’anno, il Premio Nazionale di Poesia Città di Broni-Lasarat

Ha pubblicato i seguenti libri di poesie e prose in dialetto pavese :

Pavia e po pù – La mè vègia Pavia – Storj ad periferia – Am ricordi che Pavia – Giuàn al màt.

Quello che, però, l’ha proiettato nel firmamento dei cantori della pavesità è stato il volume Vittorio Necchi … ricordi di un grande uomo e di una grande ditta (Delta 3 Ed.) monografia ricca di aneddoti e preziosità sul celebre imprenditore pavese che col suo nome ha portato, come nessuno mai, il nome di Pavia in ogni parte del mondo anche più remoto grazie alle sue macchine da cucire, veri gioielli della più conclamata e raffinata tecnologia di precisione che ha nobilitato il made in Italy degli anni d’oro (leggasi boom) della seconda metà del secolo scorso.

Agostino Faravelli, uno dei pilastri portanti del Circolo Culturale Regisole, presieduto ottimamente dal “pàves àrìus” Giovanni Segagni sotto l’egida del Circolo Culturale Ticinum, esprime in tutta sincerità i consensi più ampi (ed io mi associo a lui) e tanta gratitudine a questa nobile associazione che è forse la miniera inesuaribile della più pura e limpida pavesità.