I Monumenti di Pavia

LA MINERVA                                                                                         Tratto dal Sito Pavia tricolore
 

Pavia - Monumenti

Pavia - Piazzale Minerva

Non tutti conoscono il nome e la storia dell'autore della statua della Minerva e di quella del Regisole in piazza Duomo, simboli fortemente radicati nella tradizione pavese, dai fasti di Pavia imperiale alla millenaria gloria dell'Ateneo. Scopriamo, in questa breve scheda, la storia di uno tra i più grandi artisti del Novecento, Francesco Messina, che a Pavia donò quelli che oggi sono imprescindibili ed inestimabili tasselli della fisionomia urbana.

 

Francesco Messina nasce in Sicilia, a Linguaglossa il 15 dicembre del 1900. L’anno seguente la sua famiglia si trasferisce a Genova con l’intenzione di emigrare poi in America. Nella casa di vico Fosse del Colle, nei pressi della casa natale di Paganini, vive una infanzia poverissima.

A Genova tralascia gli studi per entrare nella bottega del marmista Giovanni Scanzi, noto autore di statue cimiteriali.

In seguito frequenta i corsi liberi di nudo, quindi l'Accademia Linguistica di belle arti e prende contatto con l'ambiente artistico genovese, così da essere invitato con una testina in marmo già nel 1915 a un'esposizione di artisti al fronte. La sua formazione culturale si amplia e si approfondisce nel corso degli anni venti grazie a viaggi di studio nelle capitali europee, in particolare a Parigi, dove fondamentale sarà l'incontro con Rodin, che lo indirizzerà in senso classico-naturalistico.

Salva una passeggera adesione all'esperienza futurista, l'interesse di Messina si concentra sulla tradizione italiana, in particolare quella dei quattrocentisti toscani, di cui apprezza ed emula sia le qualità formali sia l'alta maestria tecnica, il "mestiere"; già in quelle prime prove è evidente la predilezione dell'artista per la figura umana, da lui trattata per l'intero arco della sua produzione, dalle piccole terrecotte sensitive alle colossali statue monumentali (la Minerva ed il Regisole di Pavia).

I rapporti, nella seconda metà degli anni Venti, con il gruppo del Novecento italiano, che incontra nella Galleria De Cristoforis o nella Pasticceria Marchesi quando si reca a Milano per seguire le fusioni, e con il quale espone alle due grandi mostre del 1926 (Autoritratto, Vittoria) e del 1929 (Testa di ragazza, Ritratto del pittore Funi, Bimbo nudo) confermano sempre più Messina nella tendenza purista, portandolo a distruggere tutte le opere del periodo giovanile, spurie e prive di quel rigore formale ora considerato qualità preminente della scultura.

Carlo Carrà, presentando una mostra alla Galleria di Milano nel '29, sottolinea il carattere distintivo dell'arte di Messina, consistente nella perfetta sintesi formale tra i dati forniti dall'esperienza reale e il recupero intelletualistico e letterario della tradizione.

Trasferitosi nel '32 a Milano, Messina vince due anni dopo la cattedra di Scultura dell'Accademia di Brera, succedendo a Wildt, quindi è nominato direttore dell'Accademia stessa. Da quel momento si succedono frequenti commissioni di prestigio (il busto bronzeo del Cardinale Schuster, le opere monumentali di Pavia) e notevoli riconoscimenti di critica e di pubblico in occasione della sua partecipazione a grandi esposizioni, come la sala personale alla Quadriennale romana del '39 e il Premio internazionale di scultura alla Biennale veneziana del '42.

Superato un breve periodo di difficoltà negli anni immediatamente successivi alla caduta del Regime, Messina riprende l'attività didattica e quella espositiva, ottenendo una sala personale alla Quadriennale romana del '51 ed alla Biennale veneziana del '56; nuovamente gli vengono affidati incarichi di d'impegno; tra gli altri il monumento a Pio XII in San Pietro, quella di Santa Caterina per Castel Sant'Angelo, il cavallo per la sede romana della Rai.

Le opere dell'ultimo decennio paiono discostarsi un poco dalla precedente produzione per uno stile più mosso e contrastato, non insensibile a influssi espressionistici.

 

Minerva  da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Data: Marzo 2011

Inviato da: GianCarlo Mainardi

Per il viso di Minerva pare che nello studio di Messina abbia posato una giovane sposa milanese.

Lo scultore ha dato al viso un’impronta fiera, fronte spaziosa, mascella forte, naso greco, il tutto si uniformava ai canoni dell’epoca, ovvero anche la donna lasciava la bellezza muliebre per assumere la bellezza statuaria.

 

 

 

Originariamente Minerva era a seno nudo come tutte le dee greche ma negli anni trenta il seno nudo era giudicato scandaloso perciò, dopo varie discussioni, in Consiglio Comunale toccò al Podestà Nicolato chiedere a Messina di ricoprirlo con un bavarino.

Nella foto a lato, Francesco Messica accanto alla scultura nella versione originaria che senz’altro era più significativa.

 

Lo scultore soffrì non poco per questa variante ma non disse mai nulla e non si hanno notizie precise se presenziò o meno all’inaugurazione del monumento.