.... frammento tratto dalla pubblicazione di Chieppi Michele:

Le chiese di Pavia entro il primo muro della città secondo Opicino De Canistris

Pavia: Iuculano, 2008.

 

Opicino De Canistris cita la Chiesa di S. Martino in Pietra Lata, una volta dei Chierici secolari. Monache Bianche e subito a seguire nell’elenco la Chiesa di S. Salvatore, detta del Liano. Monache nere.

Da ciò è semplice intuire che all’epoca di Opicino i due Edifici fossero ben distinti, notizia confortata anche dal fatto che le Monache appartenevano a due Ordini differenti: prima del 1570 in San Martino in Petra Lata vi erano Agostiniane Lateranensi, mentre in San Salvatore, le Benedettine.

Rifondatore (e non fondatore) della Chiesa di San Salvatore del Liano fu Ariperto Re dei Longobardi (fondatore invece della più celebre Chiesa di San Salvatore Maggiore), mentre non sono sufficientemente documentate le notizie sulla fondazione di San Martino in Petra Lata.

Faustino Gianani, nel commento al Libellus de descriptione Papiae (Gianani Faustino, Opicino de Canistris l’Anonimo Ticinese, 1976, p. 168), scrive, nella nutrita nota di riferimento, sulla Chiesa di S. Martino in Pietra Lata: “Chiesa di San Martino in petra lata, forse da un marmo di grandi proporzioni e quella seguente del Liano, eran certamente ben distinte, con i relativi Monasteri, ai tempi di Opicino. In quello eran monache «bianche» ossia agostiniane Lateranensi; in questo eran monache benedettine. I due Monasteri, che erano attigui… vennero fusi insieme dal Vescovo Card. Ippolito de Rossi nell’anno 1570.

Il Monastero «del Liano» si chiamava così per aferesi del nome Emiliano, nome di un antico vescovo di Vercelli che sarebbe il costruttore della chiesetta; comunque, se ne hanno memorie sin dal sec. XIII, quando cioè a questo Monastero vennero monache benedettine dette del Salvatore dal Monastero di S. Gervaso.

Ai due Monasteri fusi in uno venne assegnata a preferenza di quella di San Martino (che anzi venne demolita) la chiesa del Monastero del Liano, la quale, oltre a questa denominazione, assunse a ricordo anche quella di S. Martino in pietra lata e anche quella «del Salvatore» e anche quella di S. Martino in via nova, denominazione, questa che si spiega col sito suo, precisamente in «Strada Nuova» facendo angolo con la via che ne prendeva il nome: «Contrada di S. Martino in Pietra Lata» la quale era l’attuale «Via Mentana», e con la faccia verso Strada Nuova, con un dipinto rappresentante S. Martino.

Il 16 Luglio 1787 confiscava la chiesa e monastero facendo edificare sull’area di essi, dal Piermarini, l’ultimo cortile dell’Università, che risulta il più recente”.

 

Uno Studio successivo che porta la firma del sottoscritto (Chieppi Michele, L’Enigma del Monastero del Liano, 2007), e che ben chiaro sia: non ha termini di paragone con l’Arte e la Scienza propri del Gianani, da considerarsi uno dei più grandi se non il migliore degli studiosi della Nostra Storia Patria, ha dimostrato (documentando) quanto segue:

San Martino del Liano fu un Complesso di Edifici Religiosi ispirato dal Santo Sepolcro di Nostro Signore, o meglio, è da intendersi la replica di questo in base all’esperienza mediatoria del Milion di Costantino il Grande a Costantinopoli.

Era composto da tre elementi: San Martino in Petra Lata, San Salvatore Liano e San Maurizio (conosciuta anche come Santa Maria Parva); San Salvatore del Liano era la componente che primeggiava.

Nel corso della Storia le tre parti assunsero posizioni indipendenti, ma è da supporsi che continuarono a mantenere costanti i rapporti fra loro.

Nella toponomastica pavese fu collocato in luogo ben preciso, corrispondente anche con l’area di primo insediamento longobardo (nella quale conviveva anche la chiesa esaugurata dall’arianesimo di Sant’Eusebio).

Il Complesso fu fondato da Sant’Emiliano Vescovo di Vercelli fra il 500 e il 501, probabilmente durante una tappa del viaggio che lo portò a Roma per assistere ad uno dei Concili indetti da Papa Simmaco. Da lui ereditò il nome di Liano ed un’impronta di culto mariano di tradizione eusebiana.

Dopo la rifondazione per mano di Ariperto Re dei Longobardi in un anno imprecisato tra il 653 e il 661, assunse nell’età longobarda un grande significato significato storico-religioso.

Pur se San Martino del Liano non presenta un impianto architettonico simile al Santo Sepolcro, è da ricordarsi che Essa era una chiesa già esistente all’epoca di Ariperto e che i Longobardi procedettero a una rifondazione e non a una fondazione ex novo.

Letti i Documenti i quali attestano che i Longobardi conoscevano la struttura del Santo Sepolcro, è tuttavia indispensabile dire che questi sono da considerarsi i preparatori di un progetto i cui frutti saranno colti più tardi, in particolar modo in epoca crociata. Se ben dimostrarono di conoscere la Sua struttura, l’assenza di una maturazione completa dal punto di vista religioso-culturale portò solo all’inizio di un processo molto complesso che, partendo in modo embrionale dagli schemi impostati a proposito dei loca-sanctorum e applicando questi alla collocazione delle Reliquie nelle chiese di particolare interesse, si andava a delineare la creazione di un ambiente in cui si veniva ad esprimere concettualmente, e in alcuni casi anche fisicamente, ciò che si sprigionava, in fatto di misticismo, dai luoghi principali della cristianità oggetto della loro replica.

Naturalmente è impossibile determinare i periodi in cui le Reliquie trovarono posto nella Chiesa pavese, il vuoto documentario è notevole: si può azzardare qualche ipotesi, ma nulla di più. Ciononostante i Longobardi rifuggono da qualsiasi ragionamento riguardo la traslazione di Corpi Santi: basti pensare alle incursioni di Astolfo a Roma. E’ doveroso invece ribadire il ruolo preparatorio dei Longobardi, i quali gettarono le basi ai secoli successivi, e che una maggior presa di coscienza religioso-culturale dei popoli che seguirono portarono a maturazione, per la creazione in Pavia, di luoghi-replica in ricordo della Passione e della Morte di Cristo. Eredi principali di ciò, furono i Crociati.

San Martino del Liano, celebra il culto dei Santi militari ancora attraverso le Reliquie che conservava: San Martino, San Procopio, San Giorgio e i Martiri della Legione Tebea (di cui era Ufficiale San Maurizio) infatti, rispondono tutti all’appello nell’elenco delle Reliquie stilato da Padre Romualdo per la Chiesa pavese. Sono queste figure di grande antichità ed il loro culto è attestato sin dall’Alto Medioevo; quindi è deducibile che le loro reliquie, a cui era strettamente correlata la devozione popolare, si siano diffuse in Pavia nel periodo longobardo e in quello che si può definire idealmente età di mezzo, vale a dire il periodo compreso tra il VII Secolo e l’inizio dell’XI, o poco più in là.

La posizione del Palazzo Reale di Pavia nelle sue immediate vicinanze rafforzò la sua carica già densa di significati, indi per cui sono da rimettere in discussione alcuni fatti attribuiti ai ben più famosi Edifici Religiosi pavesi che recavano la dedicazione al Salvatore, quali: San Salvatore della Regina (poi San Felice) e San Salvatore Maggiore.
Se le notizie su San Martino del Liano sono generalmente scarse, non è più rosea la situazione nel momento in cui si introduce una parentesi sui suoi decori artistici. Tuttavia sono essi di importanza basilare a sostegno anche delle ipotesi che verranno formulate successivamente; tale documentazione giunge in particolar modo, dagli Scritti di Gaetano Capsoni e del Robolini, preoccupatisi di tramandare informazioni su di un affresco in particolare raffigurante il Santo che rappresentò una costante presenza nella vita del Complesso del Liano: San Martino.

Gaetano Capsoni nel 1876 scrive: “ Questa chiesa era molto antica, però si hanno notizie positive soltanto dall’anno 977 [Le notizie positive di cui parla fanno indubbiamente riferimento a Girolamo Bossi che nel “MS Vescovi all’an. 977. riporta come esistente nell’Archivio Vescovile la copia del… Diploma concesso dall’Imperatore Ottone II. al nostro Vescovo Pietro III” (Robolini, Notizie, Vol. II, p. 247), che scrive: “Abbatis etiam constructas infra moenia praefatae urbis et extra: et Monasteria Scoila Cariade Monasterium vetus Sipimarii Cluzonis Leani” (Robolini, Notizie, Vol. II, p. 247)]; vuolsi che da Ariperto Re de’ Longobardi (661) sia stata riedificata ed aggiunto il Monastero, per cui dall’antica forma non sia rimasta che una piccola parte esterna.

Essa era dedicata al Salvatore e veniva chiamata comunemente del Liano a quodam Lyano Presbitero, ed il monastero era abitato dalle Monache dell’Ordine di S. Benedetto. Nel 1554 a questo Monastero fu aggregato quello di S. Martino in Pietra Lata, per cui assunse il nome di San Martino in Strada nuova senza perdere l’antico di Liano. Dirimpetto alla facciata della chiesa di S. Eusebio, tuttora esistente, stava la porta dell’esterno cortile del Monastero, invece la chiesa aveva l’ingresso a ponente nella Strada nuova, o Corso Vittorio Emanuele sul fine dell’attuale fabbricato dell’Università. Salivasi a questa chiesa per sei gradini, che circolarmente si sporgevano sulla strada con pericolo de’ passeggeri, massimamente di notte.

Essa benché non grande conteneva cinque altari. Il chiostro poi di questo Monastero s’estendeva lungo la detta Strada Nuova, abbracciava i due cortili ultimi dell’Università comprendendo tutto il restante di quest’isola ad eccezione del rustico dove attualmente trovasi la nuova Aula. Per l’ingrandimento della Università queste Monache furono traslocate nel 1785 in Santa Chiara la Reale, e quindi la chiesa profanata e concentrata nell’Università. Sopra la porta di questa chiesa eravi dipinto S. Martino a cavallo, a cui il povero chiede la carità, tale lavoro si riteneva d’Andrino d’Edesia pavese, come l’Ascensione di Cristo sull’altare maggiore di Pietro Maggi” (Capsoni, Notizie, p. 284-85).

Ma la Chiesa (nel senso più stretto del termine) a cui il Capsoni si riferisce non può essere quella di San Salvatore Liano in quanto il dipinto di San Martino era posto sulla Chiesa che aveva l’ingresso a ponente nella Strada nuova, o Corso Vittorio Emanuele sul fine dell’attuale fabbricato dell’Università, quindi sull’angolo fra le attuali Strada Nuova e Via Mentana! Da qui si deduce che la Chiesa di cui stiamo parlando è senza dubbio Petra Lata, notizia che possiamo ulteriormente confermare perché il dipinto raffigurava San Martino a cui Petra Lata appunto era dedicata.

he senso avrebbe avuto il dipinto di San Martino sulla facciata Liano il quale era dedicato al Salvatore, oltre più in una situazione toponomastica che vede le due realtà così vicine? Oppure è da chiedersi: perché nei documenti ufficiali queste due realtà si rincorrono confondendosi? Il Capsoni quindi, parla all’inizio del suo frammento del Complesso, sottintendendo il riferimento a San Salvatore del Liano e solo in un secondo momento mette i causa la Chiesa che riportava l’affresco di San Martino (del Secolo XIV, dunque prima della fusione del 1570). Da questo è facile dedurre che la chiesa che assunse ruolo primario, come unica chiesa del Complesso dopo l’unificazione, fu quella di Petra Lata.

Verrebbe da chiedersi a questo punto se esistevano due chiese o solamente una, come traspare dal frammento di G. Capsoni. La risposta è in Opicino il quale, come abbiamo già visto, distingue intorno al 1330 due Chiese, due Monasteri e due Ordini di Monache: “Ecclesia sancti Martini in petra lata, olim ecclesia secularium clericorum. Monasterium Albarum, Ecclesia sancti Salvatoris que dicitur Lianum Monasterium nigrarum.

Sull’Artista Andrino d’Edesia, autore del Trecento, forse allievo di Giotto (1267 circa-1337), del già citato dipinto di San Martino, si riporta un contributo del Robolini che scrive: “Secondo l’autorità del Vasari… si dovrebbe attribuire al Toscano Giotto in quale nell’an. 1333. dipingeva in Milano, l’aver fatto risorgere la Pittura nell’anzidetta Città. Il Lomazzi per altro «trattando della proporzione della Pittura afferma che ella non fu conosciuta in Italia dai tempi di Costantino Imperadore fino a quelli di Giotto in Toscana e di Andrino di Edesia Pavese in Lombardia… »” (Robolini, Notizie, Vol. IV-2, p. 239). Aggiunge il Lanzi, che ipotizza per l’Artista origine greche: “«All’Edesia e alla sua Scuola si ascrivano in Pavia alcune pitture a fresco che restano a S. Martino e altrove»” (Robolini, Notizie, Vol. IV-2, p. 239) e conclude ancora il Robolini: “la Pittura a fresco che secondo il Lanzi si vedeva a S. Martino, il Bartoli alla pag. 41. esprime che era a S. Martino in Strada Nuova Monache Benedettine dapoichè la rammentata Chiesa fu ridotta ad uso profano venendo incorporata al Fabbricato di questa I. R. Università degli Studj” (Robolini, Notizie, Vol. IV-2, vv, p. 240)” .