Via San Zeno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Chiese con resti in Pavia

SAN ZENO                                                     Da:  Pavia di L. Marabelli e Storia di Pavia  di F. Fagnani

Chiese di Pavia (con resti, entro le vecchie mura)

Questa chiesa, coeva di S. Mostiola, riprendeva lo schema comune alle chiese romaniche di questo periodo: tre navate, tiburio, cupola, transetto non apparente ed abside semicircolare.

Rimaneggiata nel secolo XVII, la chiesa fu soppressa e profanata nel 1789.

L’edificio fu acquistato nel 1794 dal marchese Luigi Malaspina che lo demolì in gran parte per fare spazio all'erigendo suo palazzo.

Attualmente ne rimane parte dell’abside e la pilastrata che divideva la navata centrale da quella di destra.

Nel Museo Civico si conserva un capitello rappresentante Daniele tra i leoni, proveniente da S. Zeno.

La chiesa di S Zeno è legata per motivi logistici e familiari al poeta Francesco Petrarca e al riguardo trascriviamo nello spazio delle Vostre pagine un brano tratto dalla Storia di Pavia  BRE- 2000.

 

 

 

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ISTITUZIONI STORICHE ECCLESIASTICHE

La chiesa di San Zeno è attestata dall'anno 1187; tra le fonti edite di carattere generale, la parrocchia è citata nel 1250 nei documenti concernenti l'estimo pavese del secolo XIII; è menzionata tra le parrocchie di Porta Palatii nelle Rationes decimarum del 1322-1323; è ricordata negli atti della visita pastorale compiuta nel 1460 da Amicus de Fossulanis e successivamente nella visita apostolica di Angelo Peruzzi del 1576; in quello stesso anno si contavano tra i parrocchiani 50 anime da comunione e il clero risultava composto da quattro canonici; è elencata nel catasto teresiano degli anni 1751-1757.

Nel 1769 il clero risultava composto dal parroco e un chierico. Verso la fine del XVIII secolo, secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello stato di Milano, la parrocchia di San Zeno possedeva fondi per 520 pertiche; il numero delle anime, conteggiato tra la Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 333.

In base al piano governativo di riduzione delle parrocchie nella città di Pavia, come definito dall'avviso 14 novembre 1788, la parrocchia di San Zeno fu soppressa e unita alla parrocchia di Santa Maria del Carmine.

Link risorsa:http://www.lombardiabeniculturali.it/

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La chiesa di S. Zeno è elencata nell' "Anonimo Ticinese", Cap.  II°  "Chiese entro il primo muro co' loro Corpi Santi" di Opicino de Canistris  ( 23° ref.)".

Dal Commentario dell'Anonimo Ticinese tradotto da P. Terenzio (1864). 

LE VOSTRE PAGINE                        (Le Vostre testimonianze, fotografie, aneddoti, leggende, ecc. che ci avete inviato.)

Data: 2 - 2009

Tratto da: Storia di Pavia - Società Pavese Storia Patria - BRE 2000

Secondo una tradizione verosimile, il Petrarca ebbe casa nella parrocchia di S. Zeno, vicino alla piazza che da lui prese il nome.

Lì, nella dimora del poeta, dalla seconda metà del 1367 abitarono sua figlia Francesca e il genero Francescolo da Brossano, nominato allora appunto sovrintendente all'entrata e all'uscita da Pavia dei forestieri, del bestiame, delle merci e delle lettere.
Con loro vivevano la piccola Eletta, che rinnovava il nome della madre del poeta, Eletta Canigiani, e Francesco, che a tale data contava meno di due anni d'età.

Questi, che ripeteva il nome, oltre che del padre, del nonno, vive ancora in un documento poetico del Petrarca, l'unico che Pavia ha l'onore di conservare. Il bambino morì nella nostra città, di due anni e quattro mesi, il 19 maggio 1368.

Il nonno, sopraggiunto il 30 maggio, dettò per il nipotino un'epigrafe latina di sei distici elegiaci che fu apposta alla sepoltura nella chiesetta romanica di S. Zeno. La lapide era collocata sul lato sinistro della porta, il sigillo tombale sul pavimento sotto l'epigrafe.

Quando la chiesa fu chiusa e poi demolita dal marchese Malaspina per allargare l'area del suo palazzo, le due memorie petrarchesche furono salvate dalla distruzione.

Dopo vari trasferimenti si trovano ora nei Musei Civici del Castello e costituiscono, oltretutto, un raffinatissimo esempio di lapidaria gotica, per la bellezza dei caratteri. Le lettere dei distici dettati dal poeta, poi, brillano tuttora dello splendore dell'oro che le rivestì.  

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